un articolo di Andrea Menarini,
per ASCAS - Association of Small Collectors of Antique Silver
(click on photos to enlarge image)
CONSIDERAZIONI SU ALCUNI ASSAGGIATORI BOLOGNESI
La figura dell'assaggiatore è nota a Bologna fino dal XVI secolo.
Compito dell'assaggiatore era ovviamente quello di fare il saggio degli oggetti in metalli preziosi a lui presentati, cioè di determinarne il titolo. Per quanto riguarda gli argenti fabbricati a Bologna, fino a circa la metà del XVIII secolo, venivano presentati all'assaggiatore, già bollati col merco di bottega del maestro, solo gli oggetti di "grosseria", che dovevano essere di bontà, o titolo, non inferiore a 10 once e 22 denari di fino per libbra.
Se il saggio era positivo, allora il pezzo veniva bollato col marchio dell'assaggiatore e con il bollo di Città , che rappresentava un leone rampante con il vessillo crociato di Bologna. Questo bollo, pur mantenendo fermo il soggetto, ha assunto forme diverse nel corso del tempo o, talvolta, al succedersi degli assaggiatori.
Dopo la metà del secolo, però, anche per gli oggetti di grosseria era ammessa la seconda bontà (9 once e 20 denari) ed anche bontà intermedie ( vedi articolo La bontà negli argenti bolognesi del XVIII secolo) e, se l'oggetto era presentato ai pubblici assaggiatori, essi apponevano un bollo di garanzia che esprimeva in simboli e numeri la bontà rilevata. .
Il sistema di bollatura bolognese era quindi tipicamente tripunzonale:
Bollo del fabbricante
Bollo di garanzia
Bollo dell'assaggiatore
Fanno eccezione alcuni argenti che portano solo due bolli: quello dell'assaggiatore ed il leone di garanzia, senza bollo di orefice. E' d'uso attribuire queste opere all'assaggiatore stesso, ma solo una approfondita ricerca stilistica, che esula dalle mie competenze, potrebbe confermare o confutare questa consuetudine.
Dalle osservazioni che ho potuto compiere su una notevole quantitò di punzonature ho tratto qualche considerazione a proposito di alcuni assaggiatori bolognesi e che espongo di seguito
Marco Antonio Sartori
Marco Antonio Sartori, nato nel 1713, assume la direzione della bottega all'insegna di S. Filippo Neri nel 1738, a 25 anni, e viene successivamente nominato assaggiatore il 29 maggio 1751.
Di lui sono noti due marchi: uno che rappresenta S.Filippo Neri da giovane, senza barba e con il giglio sulla sinistra (di chi guarda) e l'altro che rappresenta il santo più vecchio, barbuto e con il giglio sulla destra, ai quali assegnerò nel seguito i numeri 2390 e 2391.
Ambedue i bolli sarebbero stati da lui usati, secondo il Bulgari(nota 2), sia come merco di bottega che come contrassegno personale nel suo ufficio di assaggiatore.
La Bulgari Calissoni (nota 1), poi, a pagina 574 del suo libro suggerisce che il marchio con il giglio a destra sia stato usato nel primo periodo di attività, fino al 1762 circa, mentre quello col giglio a sinistra sia stato usato dal 1762 in poi.
Questi due bolli, però, si riscontrano spesso insieme, quando il Sartori bolla i manufatti della sua stessa bottega, in opere con date sia antecedenti che posteriori al 1762.
Inoltre il bollo 2390 (giglio a destra) è stato rilevato su diversi argenti con date posteriori al 1762, insieme ai bolli di vari argentieri, tra gli altri un ostensorio di Gambari datato 1769, un ostensorio di Canali datato 1770, una pace datata 1775 e due calici di Cavallina, datati 1781.
Per contro il marchio 2391, (giglio a sinistra) è stato da me rilevato 5 volte con i bolli di garanzia dell'assaggiatore Giacomo Antonio Falconi, che muore verso la fine del 1750.
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Bolli di garanzia dell'assaggiatore Giacomo Antonio Falconi
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L'esito di queste ricerche non sembra avallare alcuna logica temporale nell'uso dell'una o dell'altra versione del San Filippo Neri.
Sembra invece interessante notare che, escludendo le opere della bottega di Sartori, che portano ovviamente ambedue i marchi, il 2390 è sempre in concomitanza con marchi di argentieri, quali Canali (15 volte), Gambari (14 volte), Cavallina, Zandonati ed altri.
Il marchio 2391, invece, quando non è accompagnato dal 2390, è stato trovato sempre con marchi di assaggiatori: Falconi, e Gregorio Albertazzi.
Queste osservazioni mi conducono a pensare che il Sartori abbia usato il marchio 2390 in qualità di assaggiatore e il 2391, invece, come merco di bottega.
Sembrava fare eccezione una corona della Madonna nella chiesa di San Petronio a Castel Bolognese (Ravenna) citata dal Bulgari (nota 2) a pagina 67, in cui il marchio 2390 sarebbe stato trovato insieme ai bolli di garanzia dell'assaggiatore Giacomo Antonio Falconi.
In questo caso, quindi, il 2390 sarebbe stato usato come merco di bottega.
La scheda dell'archivio Bulgari, oggi presso l'università di Siena, dipartimento di Arezzo, in cui è annotato il marchio rilevato su questa corona, ha il numero di inventario 614.
Come si può vedere nell'immagine qui sotto (per gentile concessione del Laboratorio di Storia e Tecnica dell'Oreficeria, Arezzo), il marchio del San Filippo Neri è chiaramente il numero 2391 e non il 2390.
Evidentemente nel corso della redazione del libro c'è stato qualche errore nella trasmissione delle informazioni o nella trascrizione dei dati, e la punzonatura di questa corona viene ad aggiungersi alle rilevazioni del marchio 2391 insieme ai bolli di garanzia di G.A.Falconi.
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Scheda dell'archivio Bulgari (per gentile concessione del Laboratorio di Storia e Tecnica dell'Oreficeria, Arezzo)
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Francesco Agimondi
Francesco Agimondi nasce a Bologna nel 1668 e succede al padre Giuliano nel 1693 nella conduzione della bottega all'insegna del Mondo.
L'11 marzo del 1690 viene eletto assaggiatore.
Il suo marchio è descritto sul Bulgari (nota 2) come un MASCHERONE e rappresentato con il numero 2380
Questo mascherone, dall'aspetto decisamente corrucciato ha un contorno molto caratteristico che consente di riconoscerlo anche quando è particolarmente consunto. Alcune volte sembra di rilevare piccole differenze nei bolli di questo tipo mascherone e nel suo contorno, ma senza un'analisi diretta è difficile giudicare dalle sole foto se si tratti effettivamente di punzoni diversi o di punzonature ottenute con lo stesso strumento, che sembrano diverse solo per l'angolazione di ripresa, per la battuta o per il consumo del punzone. Resta in ogni caso comune ai mascheroni "corrucciati", con la smorfia della bocca all'ingiù, il contorno polilobato.
Ho trovato invece, su diversi argenti due tipi di mascheroni completamente diversi.
Per prima cosa questi mascheroni sono inseriti in un contorno perfettamente ovale e poi la bocca è decisamente sorridente. Non è chiaro, poi, se si tratti di una asimmetria casuale, ma sembra proprio che il mascherone faccia anche l'occhiolino.
Questi due tipi di mascheroni, si trovano sempre insieme al bollo di Città, e a marchi di diversi argentieri bolognesi (Zagnoni, Chiossi, Bevilacqua, Falconi..).
Per la similitudine del soggetto ho dato per scontato che siano varianti del contrassegno personale di Agimondi.
Il ritrovamento del tipo 2380 R1 su un calice insieme al merco di Pietro Zagnoni, che muore il 2 ottobre 1691, suggerisce che quello, sorridente, sia il primo tipo di mascherone usato da Agimondi.
Sempre sul Bulgari (nota 2) si legge che Agimondi usa il Leone n. 2379.
Nel calice di cui sopra, però, è evidente che il leone usato da Agimondi è il 2373, già usato dai suoi predecessori, e non il 2379.
Le differenze fra i due leoni non sono molte, ma la coda del 2373 è decisamente diversa da quella del 2379: si noti la sinuosità ed il ciuffo terminale. Anche lo stendardo, in particolare nella parte terminale, dietro la testa del leone, è differente.
Vi sono altri esempi nelle punzonature di Agimondi in cui è evidente che il leone usato è il 2373, ma la qualità delle immagini a disposizione non mi consente di affermare con sicurezza che Agimondi usi sempre e soltanto il leone 2373, si può però escludere con sicurezza che usi sempre e soltanto il 2379.
L'animale fantastico
A pagina 199 del libro di Franco Faranda "Argentieri e argenteria sacra in Romagna" (Luisè editore, Rimini 1990), viene trattata una pisside che si trova a Civitella di Romagna, i cui "punzoni" vengono descritti come "A.C, leone rampante, animale fantastico"
Il merco A.C (forse anche A.G ?), qui sopra rappresentato, è stato attribuito dal Bulgari (nota 2) "quasi certamente" a Pietro Antonio Calzolari, attribuzione però non condivisa dalla figlia, che associa invece il merco ad argentiere sconosciuto.
Fa qui giustamente notare il Faranda che "meraviglia che l'orafo usi come iniziale quella del suo secondo nome, sarebbe stato più corretto l'uso del primo nome, Pietro" ed avanza l'ipotesi che la sigla trovi migliore rispondenza con il nome del fratello Angelo Michele Calzolari.
Semprechè sia da leggere A.C.
Quale che sia il nome che corrisponde alla sigla A.C, si tratta certamente di un orafo attivo nell'ultima parte del XVII secolo. (Con buona pace dell'analisi stilistica)
Questo merco è stato trovato infatti su diversi vasi sacri dell'Arcidiocesi di Bologna: una pisside datata 1690, un calice datato 1692, un calice datato 1690, oltre che su altri manufatti non datati, sempre insieme ai marchi di Domenico Riva, che è assaggiatore dalla fine del 1689 al 18 settembre 1706, ed anche con i marchi di garanzia di Paolo Riva, che muore il 9 ottobre 1689, su un vassoietto per ampolline nella chiesa di S.Maria in Nives a Faenza.(cfr. Bulgari (nota 2) pag.128)
Ma la cosa che più interessa di questa punzonatura, è proprio il bollo dell'animale fantastico, simile ad un cucciolo di cinghiale o, secondo alcuni, ad un porcellino di cinta senese, che non è identificato nè recensito su alcun repertorio. La presenza nella punzonatura del bollo di Città, il leone rampante che il Faranda ritiene che "potrebbe essere del saggiatore Agimondi", comporta che uno degli altri due marchi sia necessariamente di un assaggiatore.
Il bollo del porcellino è stato trovato altre due volte: una insieme al merco di bottega di Girolamo Bevilacqua (1681-1710)
ma che "risulta esercitare l'arte da molti anni come capo e padrone di bottega". (cfr. Bulgari (nota 2) pag.141)
Questi ritrovamenti indicano chiaramente che il porcellino è il bollo di un assaggiatore attivo intorno agli anni 1680-1690.
Sembra del tutto plausibile che si tratti del contrassegno personale, considerato fino ad oggi sconosciuto, di Lorenzo Ferri, già aiutante del Corsini, e nominato assaggiatore titolare il 15 novembre del 1686.
Egli muore l'11 marzo del 1690 e resta quindi in carica solo poco più di tre anni: è quindi ragionevole che il suo contrassegno personale si trovi raramente.
Ulteriori ritrovamenti di questo marchio potranno confermare questa ipotesi.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
1) Maestri argentieri gemmari e orafi degli stati della Chiesa / Anna Bulgari Calissoni
Roma: Cornelia, [2003]
2) Argentieri, gemmari e orafi d'Italia: notizie storiche e raccolta dei loro contrassegni con la
riproduzione grafica dei punzoni individuali e dei punzoni di Stato / Costantino G. Bulgari
Roma: L. Del Turco : [poi] U. Bozzi: [poi] F.lli Palombi
Andrea Menarini
- 2018 -
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